Interessantissimo progetto di ricerca quello promosso dal Dipartimento di Scienze agrarie e ambientali dell’Università di Udine che, tramite l’utilizzo del carbone vegetale, cerca di contribuire alla lotta contro l’effetto serra, di arrestare i processi di desertificazione e di arricchire il terreno di sostanze nutritive in alcuni Paesi dell’Africa.
Progetto che a prima vista, considerando la molta carne al fuoco, può sembrare ambizioso ma che invece risulta molto promettente e interessante soprattutto perché realizzabile visto che si parla di sfruttare le enormi potenzialità di un elemento comunissimo, sempre disponibile e praticamente a costo zero come il carbone vegetale.
Il carbone vegetale, detto anche biochar, si ottiene tramite un processo chiamato pirolisi che è in sostanza una combustione lenta di biomasse vegetali in totale assenza di ossigeno. Al di là del suo nome scientifico (magari non familiare ai più) questo processo è noto da secoli e lo conosciamo tutti perché tramite di esso viene prodotta la carbonella che usiamo per esempio nei comuni barbecue durante la classica grigliata domenicale. La qualità più interessante della pirolisi è però la sua capacità di ottenere energia senza emettere anidride carbonica: produce energia e cattura CO2, ottima caratteristica da sfruttare contro uno dei principali gas serra. E poi l’uso di stufe e fornelli che sfruttano questo processo al posto di quelli tradizionali a fiamma libera porta un altro vantaggio non trascurabile nella diminuizione delle polveri sottili che sono tra le principali cause dell’inquinamento in Africa. Ma i suoi effetti positivi non finiscono qui.
Il progetto, che ha preso il via alla fine di gennaio, prevede la diffusione di questa tecnica in quei paesi africani come Ghana, Togo e Sierra Leone particolarmente colpiti dal problema della desertificazione. Il motivo è presto detto: il processo funziona benissimo anche con i residui agricoli e non necessariamente con la legna, caratteristica che permette di limitare il disboscamento e di avviare politiche di riforestazione, unite al recupero di suolo impoverito.
Il carbone vegetale infatti risulta essere anche un ottimo fertilizzante e se distribuito nel terreno è capace di aumentarne notevolmente la fertilità e di rendere disponibile alle piante il carbonio di origine vegetale in alte quantità.
Ricapitolando con questo progetto è possibile produrre energia, ridurre la CO2, frenare la desertificazione, favorire la riforestazione e rendere più fertile il terreno. Oltre a creare opportunità di lavoro in paesi in via di sviluppo come quelli africani. Sì perché uno degli obiettivi del progetto BeBi (ardita contrazione di “Benefici per l’agricoltura e per l’ambiente derivanti dall’utilizzo del Biochar nei paesi ACP-Africa, Caraibi, Pacifico”) è quello di favorire la nascita e lo sviluppo di piccole e medie imprese locali che si occupino della produzione di stufe pirolitiche, dell’accumulo di carbonio nel suolo e di tutto quello che ruota intorno a questa tecnica. Compresa la commercializzazione dei crediti di carbonio per i mercati volontari delle emissioni…
Il progetto, finanziato in ambito europeo, oltre al Dipartimento di Scienze agrarie e ambientali vede la partecipazione dell’Istituto di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Firenze, delle università africane di Njala (Sierra Leone), Lomé (Togo) e Cape Coast (Ghana) e delle organizzazioni non governative “Sauve Flore” del Togo, “CORD” della Sierra Leone e “ASA Initiative” del Ghana.
Insomma, da seguire con estremo interesse.
Per maggiori informazioni: Qui.Uniud – Lotta all’effetto serra e alla desertificazione, al via progetto dell’Ateneo finanziato dall’UE
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