Senza Valido Capodarca e il suo amore per gli alberi monumentali forse oggi saremmo tutti un po’ più poveri. Nata quasi per caso alla fine degli anni settanta, la sua passione per queste piante è andata a colmare una grave lacuna del nostro patrimonio ambientale che, fino ad allora, non contemplava nessun elenco o censimento degli esemplari di alberi cosiddetti “monumentali”, ritenuti cioè, per un motivo o per un altro, di grande valore, non solo naturalistico ma anche culturale.
E così, a partire da quegli anni, ufficiale dell’esercito di stanza a Firenze (come spesso succede nella vita, le passioni non coincidono di solito con la principale attività lavorativa), Capodarca ha cominciato a ricercare, fotografare e misurare questi monumenti della natura fino a raccogliere materiale sufficiente per un primo libro (Toscana, cento alberi da salvare – Vallecchi Editore – Firenze – 1983) e a dare di fatto il via a un censimento degli alberi monumentali a livello nazionale e soprattutto a far nascere verso questi esemplari quella coscienza e quella sensibilità che oggi paiono acquisite ma che già pochi anni fa erano poco considerate.
Visto che anche questo blog si interessa all’argomento ho approfittato della gentilezza di Valido Capodarca per rivolgergli qualche domanda sulla sua esperienza. Ne è nata un’intervista a distanza che vi consiglio caldamente di leggere perché è ricca di spunti, aneddoti e insegnamenti davvero interessanti, oltre a contenere un’imperdibile quanto “sofferta” (perché comunque incompleta) top ten degli alberi monumentali d’Italia da vedere assolutamente.
Innanzitutto qualcosa su di lei: chi è Valido Capodarca?
Sono nato a Porchia, frazione di Montalto Marche, l’8 agosto 1945 (due giorni dopo la bomba di Hiroshima e un giorno prima di quella di Nagasaki). Sono sposato e ha due figli, una femmina di 37 anni e un maschio di 33. Ho trascorso l’infanzia a Ortezzano (AP), la giovinezza a Fermo (AP), laureandomi in Lingue e Letterature Straniere Moderne presso l’Università di Macerata. Nel 1970 ho intrapreso la carriera militare quale Ufficiale del Corpo Automobilistico dell’Esercito, facendo servizio per 3 anni a Roma e 27 anni a Firenze. In pensione dal primo gennaio 2001, sono tornato ad abitare a Fermo dove coltivo il mio campicello di 3000 mq, faccio volontariato come autista della Croce Verde Valdaso, suono la tastiera nel complesso orchestrale “I Diamanti”, canto nella corale San Bartolomeo di Campofilone nella sezione tenori e soprattutto continuo a scrivere libri (tre libri sono stati pubblicati dopo il pensionamento e un quarto è in fase di pubblicazione) e tengo conferenze sul tema dei grandi alberi.
Quando e perché è nata la sua passione per gli alberi monumentali?
La passione per gli alberi nacque in un giorno del 1978 quando, partecipando a un’esercitazione con carri armati nella zona di Monteromano, vidi un carro che buttava giù senza pudore alcuni alberelli. “Povere querce!” esclamai.
“Ma tu riconosci gli alberi? – mi chiese il mio collega, tenente Vellico – per me sono verdura e basta!” Certo che li conosco – risposi – quasi tutti!”. Poi, fra me, dovetti riconoscere che, se mi guardavo intorno, avrei saputo dare un nome a nemmeno il 10 per cento degli alberi che incontravo. Così acquistai il libro “Conoscere gli alberi” di G. Voghi, e cominciai a guardarmi in giro per dare un nome a ogni albero. Andando in giro con i miei bambini, feci loro delle foto accanto ad alcuni alberi che mi avevano colpito per le loro dimensioni e misi le foto negli album di famiglia. Una sera, riordinando gli album, mi accorsi che c’erano tre foto di altrettanti grandi alberi e mi venne l’idea di riempire un album con questi soggetti. Dapprima mi recai a fotografare i due o tre che conoscevo già, poi cominciai ad informarmi su dove avrei potuto trovarne altri e a cercare pubblicazioni sul tema. Con mia sorpresa, mi accorsi che non esisteva alcuna pubblicazione, non esistevano elenchi di censimenti effettuati, né presso la forestale né presso la soprintendenza ai monumenti. Perciò il censimento me lo feci da solo, domandando a parroci, a gente anziana, ad agenti delle stazioni forestali, a chiunque.
Per curiosità, cominciai a misurare gli alberi che trovavo e, man mano che li mettevo nell’album, scrivevo accanto alle foto la località, le misure, l’età presunta, e tutte le curiosità che la gente mi raccontava. Presto un album non bastò più, e ne feci due, uno per la Toscana, uno per le Marche, poi non bastarono più neppure quelli, e ne feci uno per ogni provincia. Le annotazioni si arricchivano, diventando dei testi di una certa ampiezza, fino a che mi accorsi che in pratica avevo scritto dei libri. Ragruppando le province, sarebbe venuto un libro per la Toscana e uno per le Marche. Su suggerimento di un amico, inoltrai la proposta alla Casa Editrice Vallecchi, che apprezzò l’idea e fece uscire il mio primo libro “Toscana,cento alberi da salvare”; l’anno dopo, a seguito del successo del primo, uscì quello sulle Marche, seguito da altri ancora.
Quali sono le sue opere sull’argomento?
Toscana, cento alberi da salvare – Vallecchi Editore – Firenze – 1983
Marche, cinquanta alberi da salvare – Vallecchi Editore – Firenze, 1984
Emilia Romagna, ottanta alberi da salvare – Vallecchi Editore – Firenze, 1986;
Abruzzo, sessanta alberi da salvare – Edizioni Il Vantaggio – Firenze, 1988;
Alberi Monumentali di Firenze e Provincia – EDIFIR- Firenze 2001
Alberi Monumentali della Toscana – EDIFIR – 2003
Alberi Monumentali delle Marche – Scocco Editore – Macerata, 2008
In fase di realizzazione: Alberi Monumentali del Lazio – Casa Editrice Aracne, data prevista 2010.
Ho scritto, inoltre:
Ultime voci dalla Grande Guerra (1915-1918) – Brancato Editore – Firenze 1991
Immagini ed Evoluzione del Corpo Automobilistico – in tre volumi – ROMA 1994,1995
Cosa ci insegnano gli alberi monumentali?
Gli alberi monumentali non hanno pretesa di insegnarci nulla. Sono creature miti, ci chiedono solo di esistere e ci ricambiano con la loro bellezza. La loro bellezza è la loro unica difesa, ma non sempre è sufficiente.
A saperli leggere, ci saprebbero raccontare tante cose del nostro passato. Una volta capitai con un esperto maresciallo forestale vicino a un vecchio cipresso. Io non vi leggevo quasi nulla; invece il maresciallo cominciò ad esplorare ogni traccia e, pur senza conoscere la pianta, me ne seppe raccontare tutta la vita: quanti anni aveva, quante malattie aveva avuto, incidenti subiti, interventi effettuati ed epoca degli stessi, ecc. Alla fine il cipresso era diventato un libro aperto.
Nel Paese del cemento e delle frane, dove il 70% del territorio è a rischio idrogeologico (fonte Legambiente), che spazio possono trovare questi “miracolati” della Natura?
È ovvio che da solo, un grande albero può poco, anche se certamente può più di un albero comune. Il mio paese d’origine, Porchia, si dice sche si regga sulle radici di una enorme quercia abbattuta 57 anni fa. Il paese sorge, infatti, su una rupe di arenaria, fiancheggiata da due fossi che confluiscono nello stesso punto nel torrente Menocchia. Proprio sotto Porchia, nel pendio che scende verso il fosso di destra, chiamato Munata, c’era questa enorme Quercia chiamata, appunto, Lu Cerquò (il Quercione). Esso venne abbattuto nel 1953, per essere venduto ai cantieri di san Benedetto del Tronto ma, una volta tagliato, nessuna macchina riuscì mai a recupararlo dal fondo del fosso dov’era precipitato e costituì riserva di legna per i porchiesi per diversi anni. Qualche anno dopo, un porchiese effettuò degli scavi nella sua cantina situata sul pendio del fosso di destra, cioè dall’altra parte del paese, e rinvenne delle radici, ancora fresche, che provenivano dalla parte opposta.
Erano proprio le radici del Quercione che avevano attraversato tutta la collina ed erano sbucate dall’altra parte (distanza, più di cento metri). In pratica, l’apparato radicale del Quercione ha costituito un graticcio sotto il paese che lo garantisce dalle frane.
Immaginiamo in quale misura la presenza di dieci alberi di quella sorta avrebbero impedito le recenti frane di San Fratello e di Maierato.
C’è da aggiungere che, essendo arrivati alla loro età e alle loro dimensioni, devono possedere un patrimonio genetico non comune. Potrebbero perciò essere usati i loro semi o le loro talee per produrre individui più resistenti. Questo è stato fatto, ad esempio, dal Corpo Forestale, con l’Olmo di Campagnola Emilia, albero colossale e bellissimo il quale, non si sa perché, è sopravvissuto alla grafiosi che ha sterminato tutti gli olmi, grandi e piccoli, del nostro Paese.
È ancora possibile, nell’Italia del 2010, scoprire un nuovo esemplare di albero monumentale?
Quando mandai alle stampe il mio primo libro, domandai al maresciallo forestale Urbano Livi, della stazione forestale di Siena, se qualche albero avrebbe potuto essermi sfuggito. “Lei potrà cercare per venti anni – mi rispose il sottufficiale – poi, quando sarà convinto di averli trovati tutti, uscirà fuori qualcuno a segnalarle un grande albero che le sarà sfuggito”. Profezia azzeccatissima. Non da 20 anni, ma da 30, giro le Marche e ricevo informazioni da decine di persone. Avevo appena ritirato dall’Editore Scocco il libro fresco di stampa, frutto di questi 30 anni di ricerche e stavo tornando a casa quando, scendendo da Macerata (città dove avevo frequentato l’Università e che conoscevo come le mie tasche, o credevo di conoscere), dentro un giardino vidi una quercia fuori del comune: quasi 5 metri di circonferenza e
un aspetto antichissimo, di almeno 500 anni. Dov’era stata fino a quel momento? Eppure non è che fosse tanto nascosta, stava dentro un giardino pubblico, circondata da giochi per bambini. Ed era sfuggita perfino all’ufficio ambiente del Comune, che aveva censito gli alberi di Macerata, e su quelli più importanti aveva apposto dei cartelli informativi. Tra qualche giorno andrò in provincia di Rieti, a fotografare alcuni alberi (già noti) per il libro sul Lazio, e sono certo che nel corso del viaggio farò qualche nuova scoperta.
In conclusione, ci dica almeno 10 alberi del nostro Paese da vedere assolutamente
È, questa, forse la domanda più difficile. Perché qualunque albero io metta fra i primi dieci in Italia, poi avrei il rimorso per quelli che ho tralasciato. Comunque, collocato al primo posto, per età e fama, direi il Castagno dei Cento Cavalli, a Sant’Alfio (CT), poi citerei l’Olivastro di Luras (SS), il Platano di Caprino Veronese, la Roverella di Patrica, il Ficus di Piazza Garibaldi a Pelermo, i Larici della Val d’Ultimo (BZ) e poi il Tiglio di Macugnaga, sul Monte Rosa, il Platano di Villa Olmo a Como, la Quercia di Bertiolo (PN) e il Platano di Curinga (CZ).
In alto il Platano di Curinga, CZ – Foto di Valido Capodarca
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