La prossima settimana inizia una competizione sportiva che non teme concorrenza, neanche quella agguerritissima dei Mondiali di calcio. Da lunedì va in scena infatti il Torneo con la T maiuscola: inizia Wimbledon. Non c’è forse nulla di simile al mondo, in nessuno sport: è il più antico e prestigioso torneo di tennis, da qui è passata la Storia (sempre con la maiuscola) dello sport con la racchetta e vincere la competizione ti consegna semplicemente alla Leggenda. E di fronte alla Leggenda cosa volete che rappresenti qualche mediocre e noiosa partituccia, per di più accompagnata dall’infernale baccano delle vuvuzelas?
Il perché si parli di Wimbledon in un blog dedicato al Regno vegetale è presto detto: a parte la passione di chi scrive per questo meraviglioso sport, tra i tanti aspetti che inorgogliscono gli inglesi, The Championships esibiscono sicuramente anche quello che è considerato il prato più famoso del mondo. Vediamo allora perché è considerato tale, magari per carpire qualche segreto da applicare poi, con le dovute eccezioni, al nostro giardino.
Il più ovvio dei segreti che rendono il prato di Wimbledon unico (e con lui in pratica tutti i prati inglesi) è sicuramente il clima. Ammesso che sia una fortuna, un manto erboso in Gran Bretagna può beneficiare di un po’ di pioggia quasi tutti i giorni dell’anno (lo sanno bene proprio gli organizzatori del torneo inglese costretti spesso al rivnio delle partite a causa della pioggia), aspetto che unito alle temerature dell’isola (mai troppo alte) contribuisce a creare le condizioni ideali per coltivare un prato che non a caso viene definito “all’inglese”.
Un ruolo fondamentale poi lo gioca la grande esperienza maturata dagli anglosassoni nella coltivazione di un manto erboso, specie se quest’ultimo è utilizzato per praticare uno sport. Da queste parti si ritiene che, mantenere un prato perfetto per giocarci a tennis, nel continente europeo sia una pratica del tutto sconosciuta. Questa convizione potrà forse apparire un po’ spocchiosa ma visti i risultati fa perno su una solidissima base.
Del resto gli inglesi non difettano certo di maniacalità e per questo quello di Wimbledon è di sicuro il prato più curato del mondo. Capitanati da Eddie Seaward, capo giardiniere a Wimbledon da quasi 20 anni (e uno dei sette uomini che hanno ricoperto il ruolo nella storia del Club), sono circa una trentina i tecnici che accudiscono i prati del torneo e che insieme a un numero imprecisato di addetti si prendono cura dei campi del torneo assicurando loro sempre la giusta irrigazione, rullando costantemente il substrato costituito da sabbia e limo e tagliando scrupolosamente ogni ciuffo d’erba all’altezza di 8 mm, micron più, micron meno…
Insomma è il concorso di una serie di fattori a rendere il prato di Wimbledon quello che è. Ma che, va detto, per quanto riguarda la sua composizione non è sempre stato quello che conosciamo da una decina di anni a questa parte. Come spiega bene Federico Ferrero in un interessantissimo articolo sul suo blog intitolato “Wimbledon e l’erba avvelenata” (qui trovate la prima, la seconda e la terza parte) sino ai primi anni del nuovo millennio l’erba dei campi del torneo era composta da un 70% di Lorrina Perennial Ryegrass (Lolium perenne) e da un 30% di Barcrown creeping red fescue (una varietà della Festuca rubra), miscela che rendeva il manto più soffice, il rimbalzo della pallina meno prevedibile e il gioco del “lawn tennis” molto più difficile e forse più spettacolare. Da qualche anno però, proprio sotto la supervisione di Seaward, è stata tolta la componente di Festuca per lasciare solo il 100% di loglio (il Lolium di cui sopra) con il risultato che, grazie anche a massicci rullaggi e all’altezza del taglio, la palla schizza alta e il suo rimbalzo risulta molto più regolare, caratteristiche che hanno mutato sensibilmente il gioco del tennis sull’erba tanto da far coniare al grande Clerici il termine di “erba battuta”. Il motivo di questo cambiamento è sicuramente da rintracciare in una sorta di omologazione del tennis che punta a garantire ai giocatori delle superfici di gioco più uniformi e prevedibili possibile, a prescindere dal materiale usato nei campi, erba, terra rossa o cemento che sia.
I puristi, ovvio, storcono il naso e rimpiangono il vecchio manto e lo spettacolo che rendeva giocarci sopra ma temo che dovranno rassegnarsi al prato e abituarsi a vederlo così come è oggi.
Che per la verità così lo si vede per poco: l’erba bella e perfetta dura sì e no solo per la prima settimana, nella seconda i giocatori hanno a che fare con una superficie molto consumata e in molte zone completamente priva anche di un solo filo d’erba, come si può notare nella foto qui sotto, nella quale si nota il grande Roger calpestare quel che resta del prato più famoso del mondo.
Foto di Hillarie, Roo Reynolds e cyberdees