Ci risiamo. Come tutti gli anni in questa stagione (come in quella primaverile) arrivano, in linea con il periodo, le piogge persistenti e intense e con esse, puntuali come un orologio svizzero, le frane, gli smottamenti, gli straripamenti e le inondazioni. E come tutti gli anni siamo qui a contare i danni e purtroppo i morti: per esempio in meno di un mese solo in Toscana, con i tre di Massa, sono già sei le vittime causate dal maltempo. È come un disco rotto, ogni anno le stesse scene, lo stesso andamento, le stesse tragedie. Eppure non è certo un fenomeno recente che ci può cogliere di sorpresa, anzi!
Per rendersi meglio conto della situazione è bene dare un’occhiata ai numeri: 480.000 fenomeni dall’inizio del secolo scorso ai nostri giorni, 1.600 alluvioni in 20 anni, 350.000 gli sfollati e 10.000 gli interessati tra vittime, feriti e dispersi dal 1900 a oggi, 400 vittime nell’ultimo decennio, 40 miliardi di euro di danni. E ancora: 5.581 comuni, pari in pratica al 70% del territorio nazionale (ovvero più di due comuni su tre), si trovano in aree classificate ad alto potenziale di rischio idrogeologico, cifra che arriva addirittura al 100% per i comuni di Calabria, Umbria e Valle d’Aosta.
I motivi? I soliti: un’urbanizzazione senza regole, l’abusivismo edilizio, la cemintificazione selvaggia, il disboscamento, l’incuria del territorio e l’alterazione dell’equilibrio idrogeologico dei corsi d’acqua. Certo, risulta fondamentale anche la predisposizione di un territorio come quello italiano particolarmente incline ai fenomeni erosivi ma proprio in questo contesto sarebbero servite politiche diametralmente opposte a quelle fin qui adottate.
Questa è la situazione e viene da chiedersi quanta distruzione e quanto dolore servano ancora per invertire la tendenza e porre un qualche rimedio a questa situazione. Anche se il rimedio è particolarmente oneroso: si calcola che servano almeno 43 miliardi di euro per mettere in sicurezza il territorio italiano. Sì ma come?
Molti sono gli studi e le ricerche in proposito, così come le soluzioni proposte, come ad esempio quelle suggerite da Legambiente che potete approfondire a partire da qui e delle quali riprendo velocemente quelle che mi stanno più a cuore e che sono più vicine alle tematiche di questo blog.
Innanzitutto e fondamentale “ridare spazio alla Natura”. Restituirle per esempio gli spazi necessari ai fiumi per esondare in modo “controllato” e alla vegetazione per consolidare la superficie. Poi prendersi cura del territorio, manutenerlo, controllandolo periodicamente e prevenire potenziali pericoli non con gigantesche opere inutili e spesso dannose (il cemento accelera la velocità dell’acqua…) ma attraverso interventi mirati e rispettosi dell’ambiente. E inoltre una seria lotta agli incendi e al disboscamento, tra le cause principali dell’erosione del suolo, visto che le radici delle piante e degli alberi in particolare costituiscono una delle barriere più efficaci contro l’erosione del territorio.
Senza infine dimenticare una vera lotta agli illeciti ambientali che scoraggi l’estrazione abusiva di acqua e di inerti e l’abusivismo edilizio, quest’ultimo vero flagello per intere aree della penisola e tutt’altro che scoraggiato dai periodici condoni.
Insomma le soluzioni non mancano di certo e, anche se come abbiamo visto particolarmente onerose, non più rimandabili: troppo dolore, troppa distruzione e troppi danni si sono accumulati nel corso del tempo per non prendere sul serio la questione. E poi non vorrei che, abituati come siamo al fango tipico della nostra politica, ci abituassimo anche a quello, reale, che devasta il nostro Paese…
Infine, in tempo di crisi, il riassetto del territorio non è un’occasione imperdibile per nuovi posti di lavoro? una serie di interventi mirati e su larga scala non genera PIL? È forse vero che costruire opere faraoniche fa entrare più rapidamente nei libri di storia ma sia la storia stessa sia gli italiani sono certo che sapranno essere molto riconoscenti anche con chi comincerà a risolvere questi problemi.
Foto di douneika