In un paese che va letteralmente a puttane ((i pochi neopuritani perdoneranno la “sottile” metafora, tutti gli altri ci sono abituati…) quel poco che riesce ancora a essere motivo di orgoglio va sottolineato a dovere, quanto meno per farci un po’ di coraggio. L’occasione, ormai rara, l’offre una ricerca scientifica condotta da qualche anno (e che sta giungendo al termine) da un team italiano che, se non fosse com’è a uno stadio avanzatissimo, apparirebbe come puramente fantascientifica. L’Istituto di Scienza e Tecnologia dei materiali Ceramici (ISTEC) di Faenza sta mettendo infatti a punto una tecnica di ricostruzione ossea che ha dell’incredibile: sono in grado di ricreare qualsiasi osso lungo partendo dal legno della canna dell’India, più conosciuto con il nome di rattan. Prima di parlare della ricerca però vediamo in due parole di che pianta si tratta.
Originaria dell’Asia sud-occidentale la canna dell’India (Calamus rotang) è una palma rampicante caratterizzata da un fusto flessibile ricoperto di spine rivolte all’indietro che gli servono per arrampicarsi su altre piante. Ha foglie pennate, alterne, lunghe fino a 80 cm e composte da segmenti lanceolati di lunghezza variabile dai 15 ai 30 cm e anch’essi provvisti di spine disposte su due file sulla pagina superiore. I fiori sono portati da delle infiorescenze piuttosto appariscenti e generano dei frutti rotondeggianti, ricoperti da squame lucide di colore rosso scuro, commestibili e con proprietà fitoterapiche astringenti, conosciute in commercio con il nome di “sangue di drago”.
Il legno che si ottiene dai suoi sottili fusti è noto come rattan ed è un materiale molto pregiato e costoso che fino a oggi veniva prevalentemente utilizzato nella realizzazione di mobili, ombrelli, bastoni e manufatti intrecciati. Fino a oggi, perché il rattan è il protagonista indiscusso della tecnica messa a punto dal team dell’ISTEC guidato da Anna Tampieri.
Per i loro esperimenti gli scienziati cercavano un materiale poroso il più possibile simile alla struttura delle ossa. Sono stati selezionati diversi tipi di legno e la scelta è caduta proprio sul rattan per la sua straordinaria similitudine con la porosità canalicolare interconnessa tipica delle ossa. Questa caratteristica del rattan permette l’angiogenesi ovvero la formazione dei vasi sanguigni fondamentali per la vascolarizzazione dell’osso.
Trovato il materiale il team ha messo a punto una tecnica che consente al legno di rattan di trasformarsi in idrossiapatite, un minerale raro in natura che è anche uno dei componenti minerali principali delle ossa. La trasformazione del rattan avviene mediante un lungo e complesso processo che prevede l’esposizione del legno a forti temperature e ad alte pressioni in dei forni speciali che trasformano il carbonato di calcio in fosfato di calcio, ovvero in uno dei sali di calcio nei quali è presente l’idrossiapatite.
L’aspetto più importante e per certi versi straordinario di questo metodo è che non siamo di fronte a un osso artificiale, come succede per tutti i tipi di protesi esistenti, ma piuttosto a un “tutore” che serve come guida e sostegno al vero osso per ricostruirsi che, man mano che cresce, incorpora e riassorbe completamente la struttura del rattan.
Gli studiosi sostengono di essere in grado, tramite questa tecnica, di ricostruire qualsiasi osso lungo in poco più di una settimana di lavorazione ma oltre a questa importantissima applicazione (grazie alla quale ci aspetta un futuro privo di protesi artificiali) ritengono la tecnica adatta anche ad altri settori come quello aereospaziale o dove vengano richieste caratteristiche come resistenza alle azioni meccaniche e alle alte temperature.
La tecnica è in uno stadio avanzatissimo, è già stata sperimentata su alcuni animali e tra non molto dovrebbe iniziare a essere testata sull’uomo. Per queste promettenti prospettive il Time ha inserito la ricerca tra le migliori cinquanta invenzioni del 2009: fortuna che c’è ancora qualcuno in grado di farci sentire orgogliosi di essere italiani!