Non facciamoci l’abitudine, sarebbe troppo bello. Parlo dell’ottimo clima che sta interessando l’Italia in questi giorni anche se, obietterà qualcuno, siamo in piena estate e di pioggia nelle spiagge e di neve in montagna se ne farebbe molto volentieri a meno. Personalmente preferisco queste temperature al caldo infernale sperimentato non più tardi di due settimane fa ma il punto non è certo questo: siamo, a livello mondiale, un’eccezione, anomala quanto si vuole (specie per quello che è chiamato il Belpaese), ma pur sempre un’eccezione. A Mosca nei giorni scorsi infatti i termometri hanno segnato punte di 40° C e in buona parte degli Stati Uniti le cose non sono andate certo meglio visto che si sono registrate temperature superiori ai 43° C che hanno causato 22 morti e una moria di bestiame in Minnesota e in South Dakota; per tacere della devastante siccità che sta interessando la Somalia, la peggiore degli utlimi 60 anni… Rincara la dose un articolo apparso sul Fatto quotidiano riportante uno studio americano che afferma come tra 30 anni il Polo Nord rimarrà senza ghiacci durante la stagione estiva, previsione che anticipa di ben 40 anni quella che sembra un’inevitabile conseguenza del riscaldamento globale…
Già, il riscaldamento globale. Quando si tocca questo argomento, a parte la maggioranza di chi assume un atteggiamento “agnostico” (di gran lunga l’approccio peggiore), si trovano sempre due fazioni nettamente contrapposte fra chi crede che l’impatto dell’uomo sia determinante nell’aumento del global warming e chi, come i negazionisti, ritengono che le cause del riscaldamento globale siano da ricercare altrove. A smentire quest’ultima tesi arriva l’ennesimo studio che dimostra come mangiare contribuisca ad aumentare la febbre del Pianeta.
Niente di nuovo sotto il sole si dirà, di studi del genere ne circolano molti ormai da tempo, ma il rapporto dell’Environmental Working Group (EWG) afferma ancora una volta che mangiare carne (e non solo) contribuisce in modo significativo al riscaldamento globale e va ad analizzare la questione in profondità, arrivando a sorprendenti conclusioni. Lo studio prende in esame ogni fase del processo di produzione di 20 alimenti comuni negli States (lenticchie, pomodori, latte, fagioli, tofu, broccoli, yogurt, noci, burro di arachidi, riso, patate, uova, tonno, pollo, tacchino, salmone, maiale, formaggio, manzo e agnello), dalla produzione allo smaltimento dei rifiuti, passando per il consumo dei pesticidi, dei fertilizzanti e dell’acqua e per la produzione dei mangimi per il bestiame, mettendo in risalto in modo semplice e chiaro l’impatto che hanno le nostre decisioni in fatto di alimentazione nei confronti dell’ambiente. Il tutto è reso benissimo da questa infografica che mostra a quante miglia percorse da un’auto corrispondono 4 once (circa 114 grammi) di cibo da noi consumate. E i risultati confermano diverse convinzioni ma riservano anche alcune sorprese. Il cibo più virtuoso in assoluto sono le lenticchie che risultano una scelta salva-ambiente a fronte di un’ottima fonte di proteine fibre e nutrienti; subito dopo troviamo i pomodori, salutari e rispettosi dell’ambiente e, a salire, troviamo latte, fagioli, tofu, e broccoli per arrivare allo yogurt dove, le 4 once di cui sopra equivalgono già a mezzo miglio (circa 800 metri) percorso con un’auto. Da qui in poi si inizia a far viaggiare maggiormente la nostra macchina: con la stessa quantità di uova si supera il miglio di distanza, 1,5 per il tonno e quasi 2 per il pollo che diventano praticamente 3 per tacchino, salmone e maiale mentre, udite udite, 114 grammi di formaggio valgono 3 miglia e mezzo (più di 5,5 km), consumo che vale il terzo posto del podio dei cibi a maggiore impatto ambientale. Il secondo posto di questa poco invidiabile classifica è occupato dalla carne di manzo (4 once valgono circa 6 miglia e mezzo, 10,5 km!) mentre il primo gradino è occupato dalla carne di agnello con più di 7 miglia percorse dalla nostra auto, anche se l’auto è ferma… Ma il rapporto non si esaurisce in questa infografica ma è molto più ricco di dati, numeri, analisi e grafici, è basato su un lunghissimo elenco di fonti e ci aiuta a capire quanto anche il nostro più semplice gesto in realtà abbia un’impronta ecologica tutt’altro che trascurabile: se masticate un po’ di inglese dategli un’occhiata perché ne vale davvero la pena, ma anche se non conoscete la lingua molte cose sono comunque comprensibili e il fatto che di pianeti ce ne sia uno solo dovrebbe spingere chiunque a compiere questo piccolo sforzo, non siete d’accordo?