“Ehi, ma allora coltivi anche altre orchidee” mi fa l’altro giorno un’amica venuta a farmi visita. “Certo, perché?” faccio io incuriosito e lei mi risponde che, leggendo il blog, sembra che io coltivi solo le Phalaenopsis. Un po’ sorpreso da questa deduzione la correggo subito e le spiego che, pur amando molto queste orchidee, non mi limito a tenere le sole “orchidee farfalla” ma, nel limite del minuscolo spazio che è la mia umile dimora, coltivo anche gli altri principali generi, a cominciare da quello che forse amo di più: il genere Paphiopedilum.
Per parlare di questo splendido genere è bene cominciare dal suo poetico nome per spiegare anche l’apparente titolo no-sense: Paphiopedilum è composto dalle parole greche Paphos, dal nome della città cipriota sede di un importante tempio dedicato ad Afrodite (la romana Venere), e pedilum che significa pantofola, parole che fanno riferimento alla forma del labello (che ricorda appunto quella di una pantofola) e alla bellezza del fiore stesso, assimilabile alla dea dell’amore.
È infatti la peculiare forma del labello che contraddistingue questo genere ed è il risultato dell’unione di due petali che crea una specie di tasca; la forma del fiore si completa con un “sinsepalo”(cioè due sepali anch’essi fusi insieme) che sormonta il labello e altri due petali laterali, sempre molto appariscenti per colore e forma che può essere anche molto allungata. Sono orchidee terrestri, raramente epifite, prive di pseudobulbi, a sviluppo simpodiale con le foglie, che originano dal colletto, rigide e carnose, piegate longitudinalmente e di solito lunghe, anche se non mancano esemplari con foglia corta e arrotondata; il loro colore varia in relazione alla zona di nascita: verde uniforme, più o meno scuro, per le specie originarie delle zone più fresche e foglie sempre verdi ma variamente maculate per quelle provenienti dalle zone più calde.
Appartengono a questo genere circa settanta specie, il circa deriva dal fatto che per alcune di esse c’è ancora un dibattito aperto se considerarle vere e proprie specie o semplici sottospecie. D’altro canto fino a poco tempo fa i botanici chiamavano questo genere ancora Cypripedium per poi, da alcuni anni, dividere la sottofamiglia delle Cypripedioideae in quattro generi: Cypripedium, Selenipedium, Phragmipedium e appunto Paphiopedilum; al primo genere, diffuso nelle aree temperate dell’emisfero settentrionale, appartiene la splendida Cypripedium calceolus, presente anche in Italia, il secondo e il terzo genere sono originari del Sud America mentre, l’ultimo, quello che ci interessa, proviene dall’Asia tropicale. Nonostante l’origine esotica, molte specie di Paphiopedilum si adattano bene al clima delle abitazioni, caratteristica che rende queste orchidee abbordabili anche per il coltivatore amatoriale. Vediamo qualche consiglio utile per un buon approccio colturale.
Luce
Le orchidee del genere Paphiopedilum si adattano bene alle condizioni di luce presenti nella maggior parte delle abitazioni e non necessitano di particolari accorgimenti, basterà sistemarle in un luogo luminoso evitando un’eccessiva esposizione alla luce diretta del sole che brucia le foglie causando sulla loro superficie delle macchie.
Temperatura
Le Paphiopedilum sono piante da serra intermedia e per questo si adattano bene agli appartamenti. La temperatura ideale varia dai 15° C di minima ai 28-30° C per le specie a clima caldo e dagli 8-10 °C di minima ai 24-26 °C per quelle a clima più fresco anche se sopportano per brevi periodi anche temperature più alte, purché si assicuri loro un elevato grado di umidità.
Annaffiatura
È forse l’aspetto più delicato. Le piante appartenenti a questo genere non hanno infatti sviluppato strutture, come gli pseudobulbi, capaci di accumulare riserve idriche e per questo non possono rimanere troppo a lungo senza acqua. L’ideale sarebbe annaffiare quando il substrato si è asciugato ma non completamente, il rischio però è quello di farlo seccare troppo perché poi risulta difficoltoso reidratarlo; molto meglio allora controllare quando il substrato comincia ad asciugarsi e bagnare bene. Questo in estate mentre in inverno si dovrà procedere all’annaffiatura con molta precauzione, riducendo la frequenza e stando bene attenti a non bagnare il colletto.
Substrato
Un buon substrato per le Paphiopedilum deve risultare ben sciolto e assicurare un buon drenaggio ma al contempo deve essere in grado di mantenere un certo grado di umidità. Io uso una miscela composta per la maggior parte da bark a pezzatura media (più piccola per le giovani piante), diciamo intorno all’80%, un 10% di perlite (o polistirolo ben sminuzzato) e il restante 10% diviso tra muschio di sfagno, carbone di legna e una manciatina appena di un buon terriccio.
Umidità e aerazione
Queste piante amano un’umidità alta e costante, sul 60-70%, ma deve essere accompagnata da una buona circolazione d’aria, che non è un problema durante la bella stagione ma lo può diventare nei mesi invernali, evitate in questo periodo le correnti fredde dirette, magari aiutatevi con dei piccoli ventilatori, mai puntati direttamente sulle piante. Per aumentare l’umidità ambientale potete tenere in un sottovaso un po’ di argilla espansa inumidita sulla quale adagiare il vaso; nebulizzate le foglie 2 o 3 volte al giorno.
Concimazione
Si può concimare con un normale fertilizzante liquido, l’importante è dimezzare (e anche meno) le dosi consigliate. Durante i mesi estivi è necessario somministrare il fertilizzante ogni 10 giorni mentre in inverno è sufficiente una volta al mese. Tra un’applicazione e l’altra è importante però procedere con un’annaffiatura abbondante per “lavare” via i residui salini.
Rinvaso
Questa operazione è molto importante e va effettuata, per le piante adulte, ogni anno dopo la fioritura e con maggiore frequenza per le piante giovani, se queste crescono bene e possono rimanere soffocate in un vaso piccolo. Rimuovete il vecchio substrato con delicatezza perché le radici, non sembra dall’aspetto, ma sono piuttosto delicate; tagliate via quelle vecchie o marcite. Una volta rinvasate, bagnatele molto bene dopodiché, per favorire lo sviluppo di nuove radici, aspettate più del solito a bagnare di nuovo.
Riproduzione
Il miglior metodo per riprodurre le piante di Paphiopedilum consiste nella loro divisione durante il rinvaso: separate delicatamente due getti facendo attenzione a lasciare un buon numero di radici a entrambe le parti e procedete, annaffiature comprese, come per un normale rinvaso. Difficilissima, se non impossibile per gli amatori, la riproduzione da seme, ma ne riparleremo.
Più o meno mi sembra di aver detto tutto, con qualche piccola accortezza vedrete che queste meravigliose piante vi daranno un sacco di soddisfazioni e vi regaleranno quei magnifici capolavori botanici che sono i loro fiori, che tra l’altro sono anche molto duraturi e rimangono sulla pianta anche per due mesi. Vi lascio alla galleria fotografica di un paio dei miei esemplari.