Piccolo, semplice, esperimento. Ieri mattina per prima cosa ho comprato dal fruttivendolo un mazzetto di rucola dal peso di circa 70 grammi e dal costo di 65 centesimi di euro poi, cambiato negozio, ho acquistato di nuovo la rucola ma questa volta quella accuratamente selezionata, lavata, asciugata e depositata nella vaschetta di plastica, dal peso di 100 grammi e dal costo di 2,70 euro. Detta così, in altre faccende affaccendati come di solito siamo, potrebbe anche passare inosservata la “sottile” differenza di prezzo che passa tra le due offerte dello stesso prodotto e allora, per scongiurare questo rischio, ecco buttati di seguito due-numeri-due abbastanza eloquenti: la prima rucola, quella da lavare, costa 9 euro al chilo, la seconda, quella già generosamente lavata per noi, costa 27 euro al chilo. Sì, avete letto bene, la seconda costa esattamente il triplo della prima (già di suo tutt’altro che a buon mercato…), anche se in entrambi i casi si tratta, né più né meno, di Eruca sativa.
Eh, ma la seconda è già lavata, potrebbe precisare qualcuno. A parte il fatto che in pratica con la stessa cifra al chilo si compra quella che negli anni ’90 era l’inflazionatissima e inseparabile compagna di piatto della rucola, serve semmai riflettere un attimo su quanto vale il servizio aggiuntivo “offerto” dal prodotto già lavato, quanto lavoro in realtà ci risparmia e soprattutto a che costo, non solo economico ma anche ambientale, ci viene venduto questo servizio.
Per provare a rispondere a queste domande devo tornare di nuovo all’esperimento iniziale, davvero semplicissimo, che consiste nel preparare in parallelo le due rucole e vedere pro e contro di entrambe, il tutto documentato da una serie di foto testimone dei vari passaggi.
Partendo da quella da lavare noto che si tratta di un mazzetto di foglie tenuto insieme da un piccolo elastico; il prodotto è sicuramente fresco e già di per sé appare ben pulito e assolutamente privo di terra.
La rucola già lavata è invece confezionata in un contenitore di plastica trasparente sigillato a sua volta da un cellophane per alimenti sul quale sono riportati il logo dell’azienda, la data di scadenza e tutti i dati del prodotto, compreso l’annuncio che il prodotto è fresco, privo di conservanti e pronto da condire… salvo precisare, in un’altra scritta, che è consigliabile risciacquare il contenuto prima di consumarlo.
Andando avanti con il lavaggio della prima rucola ho tolto l’elastico e, constatata la freschezza del prodotto, ho aggiunto metà acqua nel contenitore che di solito uso per pulire l’insalata e vi ho introdotto l’apposito cestello con dentro le foglie da lavare, alle quali ho infine dato una bella sciacquata lasciandole poi in ammollo per una decina di minuti.
Ho allora aperto la confezione sigillata ed estratto il contenitore con dentro la rucola lavata scoprendo che le foglie erano tutt’altro che asciutte e il loro aspetto generale non molto attraente. Quest’ultima impressione è senz’altro dovuta al fatto che la confezione scadeva proprio ieri ma trovare la rucola ancora bagnata non è proprio il massimo: si sa infatti che basta poca umidità sulla verdura chiusa ermeticamente nella plastica perché si sviluppino molto rapidamente marciumi e muffe che rendono di fatto immangiabile il prodotto.
Tornando alla prima rucola, risciacquo il tutto, riciclo la prima acqua di lavaggio versandola in un secchio e ricomincio una seconda volta a lavare le foglie lasciandole poi di nuovo a mollo per ancora qualche minuto.
Recuperata anche la seconda acqua di lavaggio ho infine asciugato bene la rucola per sistemarla poi in una insalatiera, accanto a un’altra insalatiera contenente la rucola confezionata, come si può vedere nella foto qui sotto.
Tempo effettivo impiegato a lavare la verdura: meno di 5 minuti.
Nonostante l’affermazione “pronto da condire” ho preferito seguire l’altro consiglio (“meglio risciacquare”) anche perché la rucola emetteva un vago e inquietante odore che ricordava il pesce (!) e l’ho quindi lavata e asciugata, vanificando di fatto l’unico suo vantaggio, ovvero far risparmiare tempo perché pronta all’uso.
Ricapitolando quindi viene fuori che, da una parte, il primo prodotto costa un terzo dell’altro, è sicuramente fresco (constatabile a colpo d’occhio perché totalmente visibile), l’elastico è il suo solo imballaggio e l’operazione di lavaggio e asciugatura (con l’acqua usata recuperata per altri scopi come annaffiare…) mi ha rubato sì e no 5 minuti effettivi di tempo;
dall’altra, il prodotto confezionato costa il triplo del primo, non ha un bell’aspetto (e odore) non facile da verificare perché in parte celato dalla confezione, lascia dietro di sé un’ingombrante scia di rifiuti e non mi ha di fatto risparmiato il “fastidio” di sciacquare comunque le foglie facendomi perdere minuti preziosi.
Non servirebbe aggiungere altro, la schiacciante vittoria del primo prodotto sul secondo è talmente palese che non dovrebbe sussistere dubbio alcuno ma…
Ma i negozi e i supermercati pullulano di ortaggi confezionati e pronti all’uso che, nonostante siano di fatto costosissimi, di qualità comunque da verificare, dannatamente inquinanti e tutt’altro che “risparmiatempo”, hanno avuto un boom impressionante negli ultimi tempi: +11,6 per cento, nel primo trimestre, un italiano su due che li acquista e un giro di affari che si aggira sui 700 milioni di euro.
Che dire? in questi casi mi domando dove sia finito quel minimo di buon senso che servirebbe per chiedersi se, a fronte dei 2 minuti di tempo risparmiati, sia sostenibile pagare la verdura a peso d’oro per poter inquinare il pianeta….
Per la cronaca la puzza di pesce della rucola confezionata non è sparita così ho buttato le foglie nella compostiera e il contenitore alla plastica, nel vano tentativo di inquinare meno, almeno a questo giro…