È la classica situazione da “con le spalle al muro” o meglio de “il topo all’angolo”: i cambiamenti climatici, l’inquinamento, l’esaurimento (imminente?) del petrolio e altri simpatici fattori costringono molti stati, aziende e ricercatori, ovvero l’umanità, a studiare alternative alla situazione odierna nella speranza di trovare fonti energetiche sostenibili e al contempo efficaci, in grado cioè di sostenere lo stesso tenore di vita garantito dagli idrocarburi senza sacrificare le nostre ormai consolidate (e a oggi insostenibili) abitudini. Eufemisticamente parlando, la sfida non è da poco anche se va detto che agli scienziati non manca certo la fantasia e molte innovative e promettenti tecnologie stanno spuntando come funghi praticamente tutti i giorni. È il caso per esempio della tecnica escogitata da una società del Massachusetts, la Joule Unlimited, che sta facendo promettenti passi avanti su un progetto pilota per ottenere combustibile dalle piante. Nessuna novità verrebbe da dire se non per il fatto che le suddette piante sono letteralmente in grado di “sudare” biocarburanti.
Sì, proprio così, avete letto bene: queste piante, per lo più alghe, sono capaci di sudare biodiesel. Alla Joule Unlimited hanno infatti creato un gene alterato nelle piante monocellulari rendendole capaci di sfruttare la luce del sole e l’anidride carbonica per trasformarle poi direttamente in biocarburante. Il tutto senza fasi di estrazione, senza sottoprodotti di scarto e in sostanza riducendo in modo significativo i costi di trasformazione e il suo conseguente inquinamento. Per questo alla Joule Unlimited sostengono che il loro combustibile sarà un’alternativa al petrolio pulita, efficace ed economica.
Il meccanismo studiato dalla società del Massachusetts consiste in delle strutture che assomigliano molto a dei pannelli fotovoltaici dentro alle quali, tra due lastre di vetro, vengono sistemate le alghe unite a una miscela di anidride carbonica e acqua. Questi speciali pannelli vengono posti al sole come si fa né più né meno con quelli fotovoltaici, in una posizione in grado di ottimizzare al massimo l’esposizione. Il resto lo fanno le alghe, che crogiolandosi al sole e consumando l’anidride carbonica producono direttamente il biocarburante e non si dovrà fare altro che separare quest’ultimo dalla miscela di coltura. Altro vantaggio non da poco rispetto alla produzione di biocarburante “tradizionale” è che queste piante continuano a produrre combustibile per almeno due mesi, a differenza delle altre che sono “monouso”, visto che vengono distrutte nella fase di estrazione.
La Joule Unlimited sta sperimentando la sua tecnica in un impianto pilota di prova situato a una cinquantina di km a nord di Austin in Texas, luogo scelto per il suo basso rischio di gelo e per l’elevata quantità di luce solare e anche se ci sono ancora alcuni aspetti da capire e da testare il metodo sembra molto interessante: piante riutilizzabili in grado di consumare l’anidride carbonica (il principale gas serra) e di produrre biocarburanti (da utilizzare in alternativa al petrolio) senza generare altro inquinamento. Molto promettente, no?