Domenica è l’otto marzo e di conseguenza mi sembra doveroso scrivere della pianta simbolo di quel giorno, ovvero la mimosa ma per farlo la prendo come si suol dire un po’ alla larga partendo addirittura da quasi tre secoli fa, precisamente dal 1735. In quell’anno infatti il grandissimo biologo svedese Carl Nilsson Linnaeus, più conosciuto con il nome latinizzato di Linneo, introdusse un innovativo metodo per la classificazione delle piante e degli animali: la nomenclatura binomiale. Fino ad allora infatti gli esemplari di flora e fauna venivano catalogati con un sistema completamente arbitrario basato su una lunga descrizione, scritta in latino, che riportava i caratteri principali di ogni essere vivente. Il problema maggiore veniva dal fatto che gli scienziati del tempo potevano descrivere per esempio la stessa pianta ponendo l’accento ognuno su caratteristiche anche molto diverse della pianta stessa o descrivendo una particolarità in comune a più specie in realtà molto distanti tra loro con il risultato ovvio di un’estrema approssimazione. Associando la definizione di genere ad un aggettivo che ne descrivesse la caratteristica principale Linneo trovò il modo, semplice e geniale, di dare un nome univoco agli esseri viventi classificati sancendo di fatto una vera e propria rivoluzione che, spazzando via i vecchi metodi, è giunta più o meno immutata fino ai giorni nostri. Tornerò sicuramente sull’argomento perché a mio parere è molto interessante ma adesso mi preme spiegare il perché di questa lunga introduzione. L’albero simbolo della festa delle donne infatti è uno degli esempi più clamorosi che dimostrano l’utilità e soprattutto la necessità della nomenclatura binominale: la pianta che comunemente siamo abituati a chiamare mimosa di fatto non ha niente a che vedere con questo genere di piante ma è in realtà una acacia, la Acacia dealbata.
Rilassatevi, se andate a comprare una pianta di mimosa difficilmente qualcuno vi venderà un esemplare di Mimosa pudica (graziosa pianta dal comportamento straordinario, anche qui prossimamente un post assicurato) ma l’esempio è illuminante su quanto sia importante essere sicuri, avendo la pretesa di far sopravvivere le piante, di riferirsi in maniera inequivocabile a quella data pianta piuttosto che ad un’altra. E allora veniamoci alla pianta in questione che, come ho già detto, appartiene al nutrito genere Acacia (circa 1300 specie di cui quasi mille originarie dell’Australia) e che ha in comune con il genere Mimosa solo l’appartenenza alla sottofamiglia delle Mimosaideae.
La A. dealbata è un vero e proprio albero (può raggiungere anche i 25 metri) sempreverde e dalla ricca chioma composta da eleganti foglie grigio argentee lunghe 10/12 cm e suddivise in 15/20 pinnule a loro volta composte da 20 a 30 paia difoglioline; i profumatissimi fiori sono di colore giallo e sono raccolti in pannocchie lunghe gino a 10 cm. Non è difficile da coltivare a patto che non si abiti in un luogo dove le gelate si protraggono a lungo. Originaria delle Tasmania infatti prolungati periodi sottozero le sono fatali anche se si è acclimatata con successo nelle zone temperate del nostro Paese e, da centro Italia in giù, è ormai piuttosto comune. Un’accortezza fondamentale comunque è quella di piantarla al riparo di muri o altri alberi visto che è molto sensibile ai venti. Assicurandole un terreno ricco e sciolto crescerà molto rapida e rigogliosa ma si possono ottenere buoni esemplari anche in terreni poveri. Dopo la fioritura è molto importante intervenire con una potatura senza mezzi termini e senza timidezze: dateci dentro!
La A. dealbata, come la quasi totalità delle acacie, si riproduce facilmente da seme ma avendo quest’ultimi il guscio molto duro è consigliabile tenerli a mollo in acqua calda lasciandoli raffeddare per 24 ore per poi piantarli subito in una miscela composta da terriccio universale e sabbia in parti uguali. Il periodo migliore per la semina è la primavera. Si possono riprodurre anche da talea prelevando parti semilegnose dai rami laterali mettendole a radicare nella stessa miscela della semina ponendo poi il vaso sottovetro avendo cura di mantenerlo umido e lontano dai raggi diretti del sole.
Penso di aver detto tutto, ah! no, dimenticavo: pur con qualche giorno d’anticipo, buon otto marzo a tutte le lettrici di Florablog.
Foto di Eric in SF