L’Equiseto dei campi (Equisetum arvense) appartiene all’unico genere rimasto in vita della famiglia delle Equisetaceae ed è considerato un “fossile vivente”, ovvero una pianta che, come per esempio il Ginkgo biloba, le Cycas, l’Araucaria araucana e le felci, è sopravvissuta all’estinzione toccata in sorte alle sue consimili qualche era geologica fa oppure perché, nonostante le altre si siano evolute, è rimasta uguale a sé stessa per un lungo periodo temporale. E infatti osservandolo da vicino ti accorgi dalla sua forma bizzarra, quasi “aliena”, che si tratta davero di una pianta molto antica: si fa risalire la sua nascita a circa 300 milioni di anni fa mentre resti fossili di specie appartenenti alla famiglia delle Equisetaceae risalgono addirittura al Devoniano ovvero qualcosa come 395-345 milioni di anni fa. Senza dilungarsi sulla sua morfologia (che potete approfondire partendo dalla pagina di Wikipedia), basta ricordare che sono piante più primitive delle Angiosperme, si riproducono tramite la produzione di spore e per questo non da molto sono state incluse (non senza qualche polemica) nella divisione delle Pteridofite (la stessa dele felci). Tra le tante caratteristiche peculiari, le proprietà fitoterapiche e quelle cosmetiche va aggiunto che con l’equiseto si può ottenere un decotto e un macerato utili come fungicida naturale.
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