L’Equiseto dei campi (Equisetum arvense) appartiene all’unico genere rimasto in vita della famiglia delle Equisetaceae ed è considerato un “fossile vivente”, ovvero una pianta che, come per esempio il Ginkgo biloba, le Cycas, l’Araucaria araucana e le felci, è sopravvissuta all’estinzione toccata in sorte alle sue consimili qualche era geologica fa oppure perché, nonostante le altre si siano evolute, è rimasta uguale a sé stessa per un lungo periodo temporale. E infatti osservandolo da vicino ti accorgi dalla sua forma bizzarra, quasi “aliena”, che si tratta davero di una pianta molto antica: si fa risalire la sua nascita a circa 300 milioni di anni fa mentre resti fossili di specie appartenenti alla famiglia delle Equisetaceae risalgono addirittura al Devoniano ovvero qualcosa come 395-345 milioni di anni fa. Senza dilungarsi sulla sua morfologia (che potete approfondire partendo dalla pagina di Wikipedia), basta ricordare che sono piante più primitive delle Angiosperme, si riproducono tramite la produzione di spore e per questo non da molto sono state incluse (non senza qualche polemica) nella divisione delle Pteridofite (la stessa dele felci). Tra le tante caratteristiche peculiari, le proprietà fitoterapiche e quelle cosmetiche va aggiunto che con l’equiseto si può ottenere un decotto e un macerato utili come fungicida naturale.
Grazie infatti all’alto contenuto di silicio e di sali solforici l’equiseto esercita un’azione di contrasto alle malattie fungine ma non solo: riesce anche a rinforzare lo strato cuticolare delle foglie che rappresenta la prima grande difesa che le piante mettono in atto per difendersi dagli attacchi esterni.
Per ottenere il macerato (o il decotto) serve un chilogrammo di equiseto fresco (che può essere sostituito da 150 grammi della pianta essiccata) ogni 10 litri di acqua. Fondamentale precisare che per la bisogna serve raccogliere i fusti verdi e ricchi di clorofilla che spuntano d’estate subito dopo la morte dei fusti primaverili, quelli grigiastri e privi di clorofilla, che servono alla riproduzione ma che non vanno bene per lo scopo. Va cercato nei terreni umidi, lungo i fossi e i torrenti e ovunque si presenti un ristagno idrico; vive anche oltre i 2000 metri di altitudine.
Per fare il decotto si dovrà tenere l’equiseto a bagno in acqua fredda per 24 ore circa per poi riscaldare il tutto per almeno mezz’ora a fuoco moderato. Per ottenere il macerato si dovrà invece tenere la pianta raccolta in un contenitore (che non deve essere nè di metallo né di vetroresina) con l’acqua, sempre nel rapporto sopraelencato, per almeno 10-15 oppure fino a quando il liquido non produrrà più schiuma. Sia che si scelga il decotto che il macerato, una volta debitamente filtrati, il prodotto ottenuto dovrà essere diluito 5 volte e irrorato direttamente sulle piante.
L’equiseto è efficace contro diverse malattie crittogamiche e in particolare lo si può usare contro la ruggine, il mal bianco (oido) e la muffa grigia. Non ci si deve certo aspettare la stessa efficacia dei prodotti convenzionali ma con applicazioni più frequenti si rivela un buon alleato contro le malattie fungine e, dato che il suo impatto ambientale è in pratica nullo, vale la pena sperimentarne la validità.
Foto fi MiikaS